Un’isola perduta era la sua villa in collina, un castello ben nascosto tra edifici pomposi, ma insignificanti… un castello con un prezioso carico di ricordi, mobili di legno massiccio e dipinti dalla Mongolia, immagini di tende e facce da nomadi, l’ingresso a Baghdad di Gengis Khan. Quindi fotografie in grande formato ed un po’ sbiadite, ricordi di viaggi e soggiorni lontani: dall’Afghanistan all’Australia, da Papua al Montenegro.
Non più giovane e non ancora anziana, la regina di fiori viveva la vita di un’ospite solitario, grato ai viaggiatori che si fermavano una sera. Sovrana affabile ed attenta ai mille particolari che un’accoglienza cordiale richiede, si interessava alle storie di chiunque passasse per questo lembo della provincia nigeriana, fosse anche una delegazione ufficiale od un Ulisse naufragato a pochi chilometri dal Camerun.
La regina offriva a tutti la sua dimora e la sua presenza, con la generosità dell’eremita che molto ha ancora da offrire e domandare.
Eppure, in quell’istante tra la sera e la notte in cui le guardie del castello già ci aprivano le porte ed il cocchiere ci portava via, il suo saluto si velò di mestizia e rimpianto: magia e potere si fermavano alle porte del suo regno. Fuori, saremmo tutti tornati liberi mortali.
In pochi minuti la notte. E il coprifuoco.